È impedito all’assemblea di porre pesi o vincoli a carico di tutti i condomini qualificando un bene come comune. Simile dichiarazione, anche se resa dall’amministratore, non può mai qualificarsi come confessione stragiudiziale, non essendo questa riferibile con certezza a tutti i condomini. La realizzazione di un’area ecologica in un giardino comune a più autonomi condomini rappresenta un atto eccedente i limiti di cui all’art. 1102 c.c. È legittima se l’area è di proprietà esclusiva di uno di essi. E’ quanto si legge nell’ordinanza della Cassazione n. 23752 dell’1 ottobre 2018.
La natura comune di un bene non può dedursi dalla dichiarazione di scienza in tal senso contenuta nel verbale di una assemblea condominiale, essendo simile dichiarazione attribuibile unicamente a coloro che in assemblea che l’hanno resa, con esclusione quindi dei dissenzienti, degli astenuti e, soprattutto, degli assenti. Il che porta ad escludere che essa possa assumere valenza di una confessione stragiudiziale ai sensi dell’art. 2730 c.c., con tutte le conseguenze che la legge attribuisce a tale istituto giuridico.
Questo è il principio espresso dai giudici supremi di legittimità con l’ordinanza n. 23752 resa in data 1 ottobre 2018 a conclusione di un giudizio che, nel merito, aveva visto confrontarsi due Condomini limitrofi sulla legittimità o meno dell’area ecologica che l’uno aveva realizzato sul giardino che riteneva comune con l’altro.
Un Condominio aveva citato in giudizio l’altro chiedendo la rimozione delle opere che il primo aveva realizzato sul giardino presumibilmente comune e consistite nello smantellamento di una porzione di verde per ivi posizionare i propri contenitori dei rifiuti. Si era costituito l’altro Condominio, contestando non solo il fondamento della pretesa avversaria, ma anche chiedendo, in via riconvenzionale, la declaratoria della proprietà esclusiva della porzione di giardino ove erano state realizzate le opere contestate.
Il giudice di prime cure, ritenuta la natura comune tra le parti del giardino in questione, ordinava la rimozione dei manufatti posati sulla porzione di verde comune ed accoglieva la conseguente domanda di ripristino dello stato dei luoghi: ciò sul presupposto che gli interventi eseguiti dal Condominio convenuto nel giardino comune costituissero atti che andavano ben oltre i limiti dettati dall’art. 1102 c.c. in quanto destinati a mutare la destinazione tipica del bene comune oggetto di causa.
Proposto appello, i giudici di secondo grado hanno radicalmente rivisto la sentenza gravata e, in totale accoglimento del gravame, hanno rilevato che, dall’attento esame della documentazione prodotta in atti e, soprattutto, valorizzando il contenuto di entrambe i regolamenti condominiali, emergeva l’esistenza di due porzioni autonome e distinte del giardino in questione, sebbene non fisicamente recintate. Il che ha portato ad escludere, da un lato, la proprietà comune del giardino e dunque la sussistenza di una comunione di esso tra i due Condomini limitrofi; dall’altro, a dichiarare pienamente legittime le opere riguardanti le due aree ecologiche in quanto realizzate su un’area di proprietà esclusiva.
Il Condominio soccombente non si è arreso ed ha chiesto l’intervento dei giudici di legittimità, censurando la sentenza resa dai giudici d’appello sotto svariati motivi, tra cui l’errata interpretazioni del contenuto dei regolamenti dei due Condomini e il mancato riconoscimento di natura confessoria alla dichiarazione resa dall’amministratore del condominio appellato che, in un documento da lui sottoscritto, aveva sostenuto la natura comune del giardino oggetto del contendere.
La corte suprema non ha ritenuto meritevoli di accoglimento entrambe dette motivazioni in quanto inammissibili.
In tema di interpretazione dei regolamenti condominiali, su cui i giudici di secondo grado hanno fondato la loro decisione, la suprema Corte era già stata più volte interpellata ed anche da ultimo Cass. 29404/17; (Cass. n.20248/16) aveva confermato che in sede di legittimità non è possibile rimettere in discussione la valutazione delle risultanze processuali a cui sono giunti i giudici di merito perché in tal modo si giungerebbe ad una nuova pronuncia sul fatto, come tale estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. Il principio è stato ribadito anche nel caso in esame, in risposta alla pretesa del Condominio ricorrente di vedere riformata la lettura che i giudici d’appello avevano fornito dei due regolamenti, radicalmente opposta a quella del Condominio attore in primo grado secondo cui, dal contenuto di essi, si doveva evincere un vincolo pattizio di destinazione a giardino dell’area interessata dagli interventi eseguiti.
Spetta infatti in via esclusiva al giudice di merito, rientrando nei suoi poteri, procedere all’interpretazione delle norme del regolamento di condominio, laddove il contenuto delle clausole non è sufficientemente chiaro oppure se, in quanto generico, non si addice facilmente al caso che in concreto si verifica.
Né maggiore fortuna hanno avuto le censure mosse dal Condominio ricorrente circa l’irrilevanza riservata dai giudici di merito alla dichiarazione resa dall’amministratore in ordine alla natura comune dell’area a verde in uso ai due Condomini, a cui la Corte d’appello, contrariamente alla decisione assunta dal giudice di primo grado, ha negato valore di confessione stragiudiziale.
I giudici supremi hanno risolto in radice il problema ed hanno respinto le motivazioni addotte da parte del ricorrente richiamando, in termini generali, l’ormai consolidato principio secondo cui l’indagine volta a stabilire se una dichiarazione costituisca o meno confessione si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, ove lo stesso sia fondato su una motivazione immune da vizi logici. Ad ulteriore conferma dell’infondatezza della mossa censura hanno sottolineato come, sempre in via generale, le dichiarazioni di scienza rese dall’assemblea circa la natura comune di un bene non possano assumere natura confessoria in quanto attribuibili, semmai, ai soli condomini favorevoli e partecipanti all’assemblea in cui esse vengono rese e dunque non già a tutti i condomini, restando infatti esclusi coloro che abbiamo espresso parere contrario, gli astenuti e, principalmente, gli assenti.
A ciò aggiungasi, in ogni caso, che è impedito all’assemblea di imporre oneri ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, talché ancor meno ad essa è consentito di qualificare la proprietà di un bene, non avendone titolo.
Tanto meno simili poteri possono ritenersi attribuiti all’amministratore del Condominio in quanto mero mandatario a cui competono le sole specifiche attribuzioni previste dalla legge o di volta in volta assegnategli dall’assemblea.
Merita invece dovuta riflessione l’affermazione dei giudici supremi i quali, a conferma della decisione sul punto assunta dai giudici di secondo grado e sulla base però di un diverso presupposto rispetto a quello esaminato dal primo giudice di merito, confermano la liceità degli interventi riguardanti la realizzazione delle aree ecologiche in quanto eseguita dal legittimo proprietario sulla propria porzione di giardino.
Non è detto, per il vero, che all’assemblea del Condominio sia sempre consentito di intervenire sui beni comuni con discrezionalità e a semplice piacimento dei condomini solo per il fatto che detti beni siano in comproprietà tra quest’ultimi. Ci sono comunque delle regole che vanno rispettate, a cominciare da quelle che disciplinano le innovazioni, vietandole laddove non siano deliberate con l’unanimità del voti e sempre che non ledano regole tecniche di sicurezza e di stabilità del fabbricato oppure alterino il decoro architettonico o rendano talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
Altre regole disciplinano invece l’iter da seguire qualora, pur nell’interesse condominiale, l’assemblea deliberi di modificare la destinazione d’uso delle parti comuni. L’introdotto art. 1117 ter c.c.prevede un dettagliato percorso che deve essere rispettato al fine di raggiungere tale obiettivo, fermi comunque i limiti del decoro architettonico e della stabilità e sicurezza del fabbricato.
Nel caso in specie, non è del tutto condivisibile il concetto espresso nella sentenza in esame circa la libertà del Condominio di operare come meglio crede sulle parti comuni, perché per far questo ha il dovere di rispettare precise regole dettate dal legislatore proprio per evitare il libero arbitrio da parte dell’assemblea.
Sebbene sia evidente che il giudice di primo grado, nel qualificare la realizzazione delle aree ecologiche come un atto eccedente i limiti di cui all’art. 1102 c.c., abbia preso in considerazione la natura comune del giardino e non già la singola porzione poi risultata essere di proprietà esclusiva del Condominio , non è affatto pacifico che siano leciti tutti gli interventi che si decidano di eseguire sugli spazi comuni, perché anche il rispetto dell’originaria destinazione ad essi impressa merita la dovuta attenzione da parte dell’assemblea: anche lo smantellamento di un’area destinata a giardino per ivi posizionare i contenitori dei rifiuti lascia spazio comunque a fondati dubbi sulla sua liceità.
Cassazione civile, sez. II, ordinanza, 1 ottobre 2018, n. 23752
Avv. Antonino Scavone