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SOCIAL MEDIA, MINORI E PRIVACY

Al giorno d’oggi tutti condividiamo foto e status sulle piattaforme social (face book, Instagram, Twitter ecc…), il problema si pone quando sono i minori a fare un uso eccessivo dei media e proteggerli da scomodi inconvenienti. Secondo la normativa vigente, la pubblicazione di una foto, quindi di un ritratto di se stessi, deve avere il consenso preventivo del soggetto immortalato. La domanda ora sorge spontanea, quando i minori possono pubblicare foto di se stessi in autonomia? In Italia, il limite di legge (art. 2 quinquies D.Lgs. n. 101/2018) per manifestare il consenso in modo autonomo è fissato al compimento dei 14 anni di età. Gli infraquattordicenni quindi, devono sempre ottenere il consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale per potere compiere, sui social network o su siti Internet, qualsiasi tipo di pubblicazione di foto, video o altri tipi di informazioni dalle quali si possano dedurre le informazioni personali del minore. Si aggiunge inoltre che non basta il consenso di uno dei due genitori, in quanto entrambi, devono essere pienamente d’accordo su tale attività del minore. In caso di disappunto tra i genitori, sarà l’Autorità Giudiziaria a stabilire l’uso e le modalità delle piattaforme social, del minore ancora non quattordicenne.

NULLO IL REGOLAMENTO CONDOMINIALE CHE VIETA DI TENERE ANIMALI DOMESTICI IN CASA.

Vi è nullità sopravvenuta per contrarietà a diritti inviolabili che travolge le norme volute dal costruttore oltre che quelle approvate dall’assemblea, anche in data anteriore all’entrata in vigore della Riforma del Condominio del 2012.

Deve essere posta nel nulla la disposizione del regolamento condominiale di natura contrattuale, e ciò per nullità sopravvenuta conseguente all’introduzione con la legge 220/12 del disposto dell’ultimo comma dell’articolo 1138 c.c., a mente del quale le norme del regolamento non possono vietare di possedere e detenere animali domestici“.

Questo è il principio di diritto espresso dal Tribunale di Cagliari con l’ordinanza del 22 luglio 2016 in merito alla possibilità di tenere animali domestici in condominio.

L’IRREGOLARITA’ URBANISTICA NON DETERMINA L’INVALIDITA’ DEL CONTRATTO PRELIMINARE.

L’irregolarità urbanistica dell’immobile promesso in vendita non blocca la sentenza di trasferimento. In presenza degli estremi della licenza, infatti, l’atto resta valido anche se il titolo edilizio è stato concesso per una diversa destinazione d’uso del bene. Questo è quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6191 del 5 marzo 2021, che ha precisato che in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato. Pertanto, il preliminare può ritenersi valido e l’irregolarità urbanistica dell’immobile lamentata dalla ricorrente non rileverebbe neanche ai fini della nullità del contratto definitivo.

Si riporta di seguito la massima: “La sanzione della nullità prevista dall’art. 40 della l. n. 47 del 1985 per i negozi relativi a immobili privi della necessaria concessione edificatoria trova applicazione ai soli contratti con effetti traslativi e non anche a quelli con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, non soltanto in ragione del tenore letterale della norma, ma anche perché la dichiarazione di cui all’art. 40, comma 2, della medesima legge, in caso di immobili edificati anteriormente all’1 settembre 1967, o il rilascio della concessione in sanatoria possono intervenire successivamente al contratto preliminare. Ne consegue che, in queste ipotesi, rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto definitivo di vendita, ovvero si può far luogo alla pronunzia di sentenza ex art. 2932 c.c.”.

PROTEZIONE UMANITARIA – CONCETTO DI “NUCLEO INELIMINABILE COSTITUTIVO DELLO STATUTO DELLA DIGNITÀ PERSONALE” – SITUAZIONI DI DISASTRO AMBIENTALE, CAMBIAMENTO CLIMATICO E INSOSTENIBILE SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE NATURALI.

La Seconda sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, pronunciandosi in tema di protezione umanitaria, ha affermato che l’accertamento effettuato dal giudice di merito in ordine al presupposto del “nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale”, investe, non solo, l’esistenza di una situazione di conflitto armato, ma anche qualsiasi contesto che sia, in concreto, idoneo ad esporre i diritti fondamentali alla vita, alla libertà e all’autodeterminazione dell’individuo al rischio di azzeramento o riduzione al di sotto della predetta soglia minima, ivi inclusi i casi del disastro ambientale, definito dall’art. 452-quater c.p., del cambiamento climatico e dell’insostenibile sfruttamento delle risorse climatiche.

(Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, ordinanza 24 febbraio 2021, n. 5022, Pres. R. M. Di Virgilio, Est. Cons. Stefano Oliva)

TRASFERIMENTO ED ASSISTENZA FAMILIARE AL PORTATORE DI HANDICAP: GRAVA SUL DATORE DI LAVORO ALLEGARE E PROVARE CIRCOSTANZE OSTATIVE.

Il diritto soggettivo del dipendente (cfr., art. 33 legge n. 104/1992) che assista con continuità un familiare portatore di handicap di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio ed a non essere trasferito senza il proprio consenso, sussiste ovviamente ove ciò sia “possibile” e cioè qualora, in un bilanciamento tra gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera significativa le esigenze economiche, organizzative e produttive del datore di lavoro, traducendosi in un danno per l’attività della parte datoriale; su quest’ultima, privata o pubblica che sia, grava poi l’onere della prova di siffatte circostanze ostative all’esercizio del diritto. Lo ha ribadito la Sezione lavoro del Supremo Collegio in una recente sentenza. (Cass. civ. sez. Lavoro, 18 gennaio 2021, n. 704).

Di seguito la massima: “Il diritto soggettivo del dipendente (cfr., art. 33 legge n. 104/1992) che assista con continuità un familiare portatore di handicap di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio ed a non essere trasferito senza il proprio consenso, sussiste ovviamente ove ciò sia “possibile” e cioè qualora, in un bilanciamento tra gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera significativa le esigenze economiche, organizzative e produttive del datore di lavoro, traducendosi in un danno per l’attività della parte datoriale. Su quest’ultima, nondimeno, privata o pubblica che sia, grava l’onere della prova di siffatte circostanze ostative all’esercizio del diritto (Nel caso di specie, rigettando il ricorso di parte datoriale, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata con la quale la corte del merito, rilevata la mancata prova da parte del datore di lavoro circa la sussistenza di esigenze economiche, produttive od organizzative ostative al trasferimento della lavoratrice ricorrente, aveva affermato, in riforma della pronuncia di prime cure, il diritto di quest’ultima ad essere destinata alla sede di lavoro più vicina al domicilio della madre e del fratello ordinando al datore di lavoro medesimo di procedere alla relativa assegnazione oltre alla refusione delle spese di lite)”.

Danno da morte del congiunto e onere della prova dell’alterazione della vita di relazione dei familiari

Con decisione depositata il 1 settembre 2020, il Tribunale di Imperia ha specificato che la morte di uno stretto congiunto “costituisce di per sé un fatto noto dal quale il giudice può desumere, ex art. 2727 c.c., che i congiunti dello scomparso abbiano patito una sofferenza interiore tale da determinare un’alterazione della loro vita di relazione e da indurli a scelte di vita diverse da quelle che avrebbero altrimenti compiuto, sicché nel giudizio di risarcimento del relativo danno non patrimoniale incombe al danneggiante dimostrare l’inesistenza di tali pregiudizi” (T. Imperia 1.9.2020).

VA REINTEGRATO IL COMMESSO LICENZIATO PER NON AVER SERVITO UN CLIENTE SENZA MASCHERINA

Con sentenza del 13 gennaio 2021, n. 9, il Tribunale di Arezzo ha confermato l’ordinanza dello stesso Tribunale che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento di un dipendente, che si era rifiutato di servire un cliente senza mascherina, condannando il datore di lavoro a reintegrare in servizio il lavoratore.

È un diritto del lavoratore costituzionalmente garantito quello di operare in condizioni sicurezza. Se il cliente di un market non intende indossare la mascherina né altro presidio di sicurezza, nonostante l’obbligo normativo vigente, il lavoratore addetto alla cassa può rifiutarsi di servirlo. Tale rifiuto non costituisce illecito disciplinare e, pertanto, un licenziamento fondato su di esso deve considerarsi illegittimo con conseguente applicazione della tutela reintegratoria.

E quanto stabilito dal Tribunale di Arezzo con la recente sentenza n.9/2021 del 13/01/2021.

FINO A TRE ANNI DI CARCERE PER CHI POSTA SUI SOCIAL COMMENTI OFFENSIVI.

I leoni da tastiera dovranno prestare molta attenzione alle offese gratuite postate sui social network. I Giudici di merito qualificano come atto diffamatorio ai sensi dell’art. 595 del Codice Penale, la condotta di chi offenda l’altrui reputazione attraverso l’uso dei social network.I social sono dei mezzi di pubblicità che consentono la promulgazione di notizie verso un ampio numero di soggetti, dove un numero a volte illimitato di utenti possono venire a conoscenza di post e considerazioni. Secondo la Giurisprudenza recente, il reato si configura qualora le espressioni adoperate siano tali da gettare una luce oggettivamente negativa sulla vittima. La pena per chi preso dalla rabbia valichi il confine tra comportamento civico e il compiere il reato di diffamazione è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa minima di 516,00 euro. Con l’evoluzione tecnologia il diritto non può che camminare di pari passo, così da regolare un mondo virtuale fatto di immagini e suoni, dove talvolta, si ritiene legittimo poter offendere ed inveire senza conseguenza alcuna, come ad esempio, per chi con un post visibile a tutti i suoi contatti offenda l’ex accusandolo di non contribuire al mantenimento dei figli (Tribunale di Torino, 299/2020) o per chi, denigri una professoressa sul piano familiare, privato e lavorativo (Tribunale di Ascoli Piceno, 90/2020). La persona diffamata può quindi costituirsi parte civile nel processo penale o rivolgersi direttamente al giudice civile per ottenere il risarcimento del danno morale da calcolare in via equitativa (Tribunale di Vicenza, 1673/2020) dimostrando la paternità del post (Cass.9105/2020) attraverso gli indirizzi IP (Internet Protocol address) ed il numero del datagramma che identifica univocamente un dispositivo (host).

GRATUITO PATROCINIO PER LE VITTIME DI VIOLENZA. AMMISSIONE NON PIU’ VINCOLATA AI LIMITI DI REDDITO.

La Corte Costituzionale con la prima sentenza del 2021 (Cort. Cost. 01/2021) si è pronunciata sulla delicata tematica riguardante l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato per le vittime di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia ed atti persecutori.
Le vittime dei reati quali maltrattamenti in famiglia, mutilazioni degli organi genitali femminili, violenze sessuali, abusi sessuali su minori, gli stupri di gruppo, lo stalking e altri atti persecutori, la riduzione a schiavitù, la prostituzione minorile, la pedopornografia, il turismo sessuale, il sesso davanti a minori e l’adescamento di minorenni, avranno il diritto di accedere al patrocinio gratuito indipendentemente dal proprio reddito familiare.
La decisione della Corte non avrà risvolti e conseguenze solo economiche, ma permette ad ogni persona, vittima di abusi e violenza, la possibilità di accedere gratuitamente, in ogni condizione finanziaria essa si trovi, alla Giustizia.
Nella motivazione della sentenza si precisa che la richiesta dei giudici di merito di dimostrare redditi entro i limiti fissati all’art. 76 del “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”, alle vittime di violenza, accentua la loro delicata vulnerabilità vista la particolare natura dei reati in questione, per cui è necessario offrire un concreto sostegno alla persona, incoraggiando a denunciare ed a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità.
La pronuncia pone le sue radici anche nella Convenzione di Istanbul in materia di prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne la violenza domestica. L’art. 57 stabilisce che le gli Stati garantiscono che le vittime abbiano diritto all’assistenza legale e al gratuito patrocinio alle condizioni stabilite dal diritto interno.
Il Giudice Costituzionale, ha quindi scelto come chiave di lettura per la norma del Testo unico, nei reati di violenza, l’accesso al gratuito patrociniole alle vittime,in virtù della natura stessa del reato, sottolineando la posizione di aiuto verso tutte le vittime, indipendentemente da genere, età e reddito di abusi e violenze.

CONTRATTO c.d. “PRELIMINARE DI PRELIMINARE”: NATURA GIURIDICA ED EFFICACIA

Quando la contrattazione preliminare relativa alla compravendita immobiliare sia scandita in due fasi, con la previsione della stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già un preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex artt. 1351 e 2932 c.c., ovvero abbia soltanto effetti obbligatori con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. È quanto si legge nella sentenza del Tribunale di Bari del 17 luglio 2020, n. 2252.

In effetti già in precedenza la giurisprudenza di legittimità aveva osservato che è valida e produttiva di effetti la stipulazione di contratto preliminare di preliminare, ossia di un accordo che preveda anche solamente effetti obbligatori (e con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento), se sia configurabile un interesse delle parti ad una formazione progressiva del contratto fondata su una differenziazione di contenuti negoziali.

La violazione di tale accordo costituisce fonte di responsabilità contrattuale da inadempimento di una obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto (Cass. civ. sez. Unite, 6 marzo 2015, n. 4628).

La Suprema Corte, con la pronuncia or ora richiamata, era giunta al riconoscimento della piena validità di quegli accordi prodromici al contratto preliminare tradizionalmente inteso allorché sia rinvenibile in essi, secondo la preliminare valutazione del Giudice di merito, l’interesse delle parti alla formazione progressiva del contratto ed alla differenziazione dei contenuti negoziali, e sempre che appaia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperto dal vincolo negoziale con essi originato.

Detti accordi, pertanto, ove ricorrano i presupposti appena citati, devono ritenersi contratti perfettamente validi, perseguenti interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico; contratti la cui violazione, contraria a buona fede, può dar luogo a responsabilità contrattuale da mancata stipulazione del contratto stipulando.

In altre parole, tale negozio è di per sé stesso valido ed efficace, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo, (Cass. civ. sez. II, 19 novembre 2019, n. 30083; Cass. civ. sez. II, ord., 7 maggio 2020, n. 8638).

Non si tratta, in ogni caso, di affermare la validità del preliminare del preliminare già in via generalizzata, bensì avuto preciso riguardo alla causa concreta dell’operazione negoziale ove reputata meritevole dal giudice nel caso concreto. In altri termini, il “preliminare aperto” è valido – sottolinea la Suprema Corte – soltanto se «emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare».

L’indicazione di valide ragioni atte a giustificare l’accordo procedimentale si riverbera, come sottolinea la Corte, anche in ordine al regime di responsabilità in caso di violazione del preliminare del preliminare: infatti, il rifiuto di proseguire nel procedimento di formazione del contratto può legittimarsi soltanto dinanzi a una ragione conforme a buona fede. Ove ciò non sia, al contrario, la violazione del “preliminare aperto” darà luogo a una responsabilità contrattuale – poiché si tratta, in ogni caso, di accordi negoziali – la quale determinerà un risarcimento dell’interesse negativo, simile a quello risarcibile nel caso di responsabilità da rottura ingiustificata delle trattative.

Non ci si deve fermare, pertanto, all’alternativa “preliminare o definitivo“, perchè far ciò significa amputare le forme dell’autonomia privata, sia quando si vuole rintracciare ad ogni costo il contratto preliminare in qualunque accordo iniziale, sia quando si ravvisa nel c.d. preliminare chiuso il contratto definitivo, passibile soltanto di riproduzione notarile.

Spetterà all’interprete vagliare caso per caso l’emergere dell’interesse delle parti e verificare, soprattutto nelle contrattazioni immobiliari, se la proposta irrevocabile contenga gli elementi del contratto preliminare o se costituisca una mera puntazione delle trattative, perché le parti hanno omesso di verificare – e lo faranno solo in sede di preliminare – alcuni elementi essenziali del negozio.

Sul punto, di recente, la Corte di Cassazione (sez. II sentenza n. 26484 del 17 ottobre 2019 ha affermato che: «La stipulazione di un contratto preliminare di preliminare, in virtù del quale le parti si obbligano a concludere un successivo contratto che preveda soltanto effetti obbligatori (nella specie, relativo ad una compravendita immobiliare), ha natura atipica ed è valido ed efficace, ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, perché la procedimentalizzazione delle fasi contrattuali non può essere considerata, di per sé, connotata da disvalore, se intesa a comporre un complesso di interessi che sono realmente alla base dell’operazione negoziale; la violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare una responsabilità contrattuale da inadempimento di una specifica obbligazione sorta nella fase precontrattuale» (v. anche Cass. civ. sez. II, ord., 28 novembre 2019, n. 31188).