Il Covid 19 ha senza dubbio rappresentato il più grande fenomeno pandemico degli ultimi anni che ha comportato l’arrestarsi quasi totale di ogni attività umana in ogni parte del mondo.
Tale fenomeno, che ha inesorabilmente modificato le nostre abitudini di vita, ha portato con sé importanti conseguenze a livello sociale, sanitario e culturale e ha avuto un grande impatto, chiaramente, anche sul settore giuridico.
Il mondo del diritto ha dovuto, infatti, interessarsi al Covid prima attraverso l’analisi e l’interpretazione delle normative ad hoc che furono varate nel pieno dell’emergenza sanitaria e poi attraverso la risoluzione di controversie che avevano ad oggetto il contagio avvenuto ad esempio sul lavoro, negli ospedali, le eventuali responsabilità legate alla diffusione del virus o, ancora, interessarsi a casi di violazione delle norme anticovid e delle relative sanzioni.
Una delle questioni particolarmente spinose e connesse al Coronavirus è sicuramente quella del ruolo delle assicurazioni private e dell’obbligo esistente o meno in capo alle stesse di risarcire tutti coloro che avevano stipulato polizze sulla vita o sulla salute e che hanno contratto il virus.
Effettivamente la giurisprudenza è sempre apparsa chiara e concorde esclusivamente nel riconoscere un indennizzo per i lavoratori che contraevano l’infezione sul posto di lavoro. Pertanto, nel caso di assicurazioni Inail, era sempre obbligatorio per l’Inail indennizzare il lavoratore proprio assicurato (si veda la recentissima Cassazione 29435/2022) che aveva contratto il virus durante l’attività lavorativa.
Meno chiara è invece la posizione delle assicurazioni private sul tema: cosa accade se si è assicurati con una polizza privata “per infortuni” e si contrae il Covid? L’assicurazione è sempre tenuta, in tal caso, a indennizzare l’assicurato? Attorno alla questione sono sorti nel tempo moltissimi dibattiti di natura sanitaria, politica e di diritto, tutt’ora privi di un univoco orientamento e ad oggi nuovamente oggetto di attenzione in relazione ad una recentissima pronuncia della Corte d’appello di Torino ( vedi sentenza n. 653 del 29.06.2023). Tale arresto giurisprudenziale che esclude il riconoscimento di un indennizzo in caso di contagio o morte da Covid per coloro che avevano stipulato polizze private (o per i loro eredi), limitando l’obbligo di pagamento alle assicurazioni Inail ovvero riconoscendo un indennizzo esclusivamente per il lavoratore che ha contratto il Covid durante lo svolgimento delle proprie mansioni lavorative.
Tale sentenza ribalta totalmente quanto asserito da numerose Corti di grado inferiore che asseriscono che il Covid sia sempre indennizzabile, e dunque riconoscono un obbligo in capo alle assicurazioni “in ogni caso”, non limitato alle ipotesi in cui si contragga il virus sul luogo di lavoro. Questo perché tali pronunce parteno dall’assunto che il Coronavirus , inteso come virus che intacca l’organismo umano dall’esterno fortuitamente e con violenza, debba essere considerato un infortunio al pari di una caduta, di una lesione oppure di un incidente. Questa posizione è stata totalmente ribaltata dalla Corte d’Appello torinese che ha dichiarato,invece, che il Coronavirus non è infortunio bensì malattia, proprio perché mancherebbe il carattere di “violenza” nella fase in cui si contrae il virus.
Ad oggi esistono sul tema due orientamenti: il primo rappresentato dalle Corti di Vercelli, Torino e Bergamo che affermano che il Covid sia certamente un infortunio. Il termine stesso infortunio rimanda, infatti, alla crasi latina “in fortuna” che indica cioè una mancanza di buona sorte e di conseguenza pone l’accento sull’accidentalità e fortuità con cui si contrae il virus. Esso è caratterizzato da una violenza che si ravvisa non solo nell’insorgenza dei sintomi ma per tutta il decorso dell’infezione e la causa di esso è dovuta chiaramente a un elemento patogeno esterno, esistente nell’aria, che penetra nell’organismo umano.
Il secondo orientamento è invece rappresentata dalle Corti di Pescara, Pesaro e Roma secondo le quali il Covid è malattia i cui effetti si propagano e si ravvisano nel tempo e mancano pertanto di impetuosità. In particolare l’elemento necessario e caratterizzante dell’infortunio, che meno si ravvisa nell’infezione da Coronavirus, è quello della violenza (come del resto ha nuovamente sottolineato la Corte d’Appello di Torino).
Per tali ragioni è senza dubbio opportuno capire cosa si intende per violenza. Tale caratteristica, presente secondo alcuni e mancante secondo altri nell’infezione da Covid, necessita di essere meglio specificata alla luce delle conoscenze medico-sanitarie più recenti. Basti infatti ricordare quanto dichiarato nell’ambito del V Congresso medico-chirurgico mondiale, oppure quanto affermato dalla Società Italiana di Medicina: il coronavirus è un infortunio poiché l’elemento della violenza è evidente nel modo in cui l’infezione penetra nel corpo umano e come la stessa permanga nell’organismo con effetti spesso gravosi e perduranti. Basti pensare al fenomeno del long-Covid ovvero di effetti collaterali alla fase più acuta dell’infezione che restano nel corpo umano per molto tempo dopo il contagio. La violenza infatti non deve, come spesso erroneamente avviene, essere confusa con la traumaticità. Di tale parere sono anche i più esperti virologi, che hanno all’uopo ripreso nelle proprie teorie alcune tesi medico-sanitarie del 1924 attorno al Bachillus Atrachis, un’infezione batteriologica del tutto simile come modalità di trasmissione al Covid 19. Pertanto, già prima della pandemia del 2020 era, dunque, risaputo in ambito medico che la”violenza” si può riscontrare anche in fatti dannosi che apparentemente non siano traumatici, brutali o comunque “meccanici”come l’avvelenamento oppure infettarsi con un virus.
Non da ultimo è importante sottolineare che non tutte le polizze assicurative sono scritte in modo chiarissimo per l’utente medio finale. Molto spesso, infatti, nelle polizze troviamo termini generici e che possono sottendersi a varie interpretazioni. Tale aspetto complica non di poco la questione: se ad esempio in una polizza trovassimo indicato che essa copre l’assicurato per ogni “malore e malessere” verrebbe senza dubbio da chiedersi se il Covid possa rientrare in tale definizione e la risposta dei più sarebbe senz’altro affermativa. Per tale motivo occorre anche ricordare che il nostro codice civile specifica all’art 1370 che ogni qualvolta ci sia una incertezza interpretativa data dal tenore letterale delle parole usate nonché da una difficoltà di individuare la vera volontà delle parti, le clausole vadano interpretate sempre a favore del contraente più debole ovvero “contra stipulatorem”.
E’ anche opportuno ricordare che nell’ambito di tale acceso dibattito tra Corti, oggi reso ancor più complesso dalla emanazione della recentissima sentenza della Corte d’Appello di Torino, non è ancora possibile delineare l’orientamento della Cassazione, che sul tema a tutt’oggi non si è ancora pronunciata. E’ possibile, in ogni modo, individuare alcune pronunce storiche degli ermellini in cui emerge una tendenza da parte del Supremo Collegio ad avvicinare il concetto di infortunio a quello di contagio da virus o infezioni virulente, come già affermato nel 2004 con sentenza n. 20941 in cui si faceva riferimento a infezioni batteriologiche a cui il Coronavirus è equiparato definendole infortunio e quindi attribuendovi gli aspetti di estraneità, fortuità e violenza.
Al momento in cui si scrive, inoltre, non vi sono state altre sentenze di pari grado che hanno confermato o si sono orientate in senso opposto rispetto alla Corte d’Appello di Torino, che pertanto, rappresenta ancora un unicum all’interno del panorama giurisprudenziale.
Bisogna perciò considerare che trattandosi di una questione di particolare rilievo e importanza, visto l’impatto storico-sociale del Covid, ma anche le crescenti richieste alle assicurazioni nonché i vari orientamenti politici che si sono susseguiti attorno alla tematica, è indubbiamente necessario attendere l’enunciazione del corretto principio di diritto da parte della Cassazione, che potrebbe aiutare a dirimere qualche ulteriore dubbio attorno alla questione in oggetto, che rimane, a tutt’oggi, ancora di complicata interpretazione.